Milano-Sanremo: la “coltellata” è francese, Arnaud Demare si prende la prima classica del 2016
Di GIANCARLO COSTA ,
La Milano Sanremo è la più bella tra tutte le belle classiche.
Di classico torna ad avere, grazie alla sorte del calendario, la data 19 marzo, il giorno sabato, la ricorrenza San Giuseppe, festa del papà.
Per tutto questo, e molto altro ancora, il cronista inizia il suo lungo pellegrinaggio dalla cima del Turchino. Vi si presenta in macchina, posteggia, scende, ed attraversa la nuova galleria che spalanca la corsa al mare, i ciclisti alla riviera, il ciclismo alla nuova stagione.
Un tunnel nuovo di pacca, più ampio rispetto al precedente; che si attraversava stretto stretto in senso unico alternato, regolato da un semaforo nei giorni di viabilità ordinaria; ed in fila indiana, quasi a mo’ di sfilata, dai girini nella loro corso al mare, in questo giorno di festa.
Davanti al nuovo tunnel spicca, contornata da bandierine tricolori, la stele del primo Campionissimo, l’omino di Novi, Costante Girardengo, capace di vincerne sei, quasi sette,
di Sanremo; in seguito, qualche curva prima, ma tanto tempo fa, l’altro Campionissimo, Fausto Coppi, stacco’ un francese per poi arrivare solitario a Sanremo, due o tre mazurche e valzer prima di Teisseire; quelli erano allora i brani trasmessi dalle frequenze radio nell’attesa del secondo classificato.
A valle, all’imbocco del paesone di Masone, il “solito ed unico” spuntino di gala con risotto ai porcini, pasta e fagioli, salamini, panini con pancetta e salame, il tutto innaffiato da bonarda vivace, barbera ferma e bollicine. L’improvvisata sagra itinerante calamita sportivi, amatori, carovanieri e cultori di questo “solito ed unico” sport.
Passano veloci i minuti, transita spedita la fuga della prima ora, ricca di ben undici contrabbandieri di avventura di variopinte casacche; tra di loro spicca chi ogni anno non sa resistere al richiamo della fuga; per lui, Matteo Bono, la differenza tra quest’anno e lo scorso è la barba incolta, frutto della moda di chi, libero dalle mode, ama fuggire a briglia sciolta.
Il gruppone transita staccato di diversi minuti, l’andatura è spedita e confusa, tra un sacchetto del rifornimento ed una borraccia da gettare a bordo strada per la gioia di chi è bambino, e di chi lo ritorna per un momento.
In riviera si devia in autostrada; la terra del cronista soffre anche quando non piove. Si stacca un costone di roccia tra Voltri ed Arenzano, vi sono dei feriti, l’Aurelia è interrotta, ed il cronista continua a chiedersi perché la sua adorata terra è tanto bella davanti, quanto fragile e poco custodita dietro.
Il gruppo entra ed esce dal casello. La corsa ritorna sulla sua strada lineare, si susseguono i “Capi”: Mele, Cervo, Berta; davanti la fuga si inizia a sfaldare, dietro le cadute falciano il gruppo mietendo vittime illustri, tra loro l’australiano Matthews superfavorito della vigilia.
Sulla “Cipressa” la fuga smette di esistere, di resistere, il gruppo allungato l’afferra nel bel mezzo dell’ascesa verso Costarainera. In cima, sul lungo falsopiano, scattano prima Visconti poi il britannico Stannard, il gruppo perde terreno, anche per lo stringersi della carreggiata nei pressi della chiesetta e nelle successive due curve in discesa ed in contropendenza.
Durante la picchiata verso la statale i due sono raggiunti da Oss, Montaguti e Sabatini; ma proprio quando l’azzardo deve decollare, perde vigore. Nuovamente tutti insieme.
Attacco de Poggio. In testa Andrea Fedi, il bel fiulin di Laigueglia, oggi al servizio di Pippo Pozzato. Il Poggio è lieve per la maggior parte dell’ascesa, il vento è favorevole o contrario a seconda dei tornanti di svolta. Tacca a Gallopin. Poi l’urlo di un tifoso polacco fa saltare gli occhi su Kwiathowski; in vetta, quando spina, si vede anche Nibali, tallonato da Spartakus Cancellara e dall’iride di Peter Sagan. L’avanscoperta si ricompatta in discesa.
Aurelia e chilometri finali.
Parte il campione norvegese Boasson Hagen, dietro ancora Cancellara ed il fresco “campione dei due mari” Van Avermaet.
Ultimo chilometro doppia curva ad esse, fontana e Via Roma. Scossa elettrica con scivolata di Gaviria, comparso così all’improvviso, come compariva così all’improvviso il tre volte iridato e re di Sanremo, Freire. Paragone calzante per il giovanissimo talento colombiano, dotato delle stimmate del fuoriclasse.
Sagan viene scombussolato, la volata si rassetta, parte Kristoff troppo presto e troppo lontano dalla forma migliore, parte il “pugile” Bouhanni, ma la coltellata giusta è dell’altro transalpino Arnaud Demare. E’ una sorpresa. Anche se una sorpresa non vince in Via Roma con più di una “macchina” di vantaggio.
Onore al vincitore, ed anche ai vinti di una corsa che è bella così: Non va stravolta con l’aggiungersi di una salita finale. Perché la Sanremo è una bella donna, ed ogni uomo in quanto corridore, ed ogni corridore in quanto uomo, ha il diritto di provare a conquistare.
Si sente dire: finisce sempre in volata, non c’è più storia, il Poggio non fa più la differenza, manca la fantasia.
Secondo il parere di chi scrive, il discorso è più ampio. Si arriva alla Sanremo con molte corse nelle gambe per tutti. La Classicissima per certi è quasi a metà stagione. Togliamo le corse senza gloria e storia, sparse nei più disparati continenti, rimettiamo la classica di primavera come “primo” appuntamento dell’anno, ed essa resterà una bella donna così com’è, da Via Della Chiesa Rossa sino a Via Roma, con Turchino, Capi, Cipressa e Poggio.
Perché una bella donna lo è per sempre, ed è giusto per essa soffrire; come l’ultimo dei Moser, che oggi è riuscito a scaldare il cuore di chi scrive.
Di Mauro Percudani.