La storia del ciclismo nel libro di Davide Mazzocco

Di MARCO CESTE ,

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Davide Mazzocco è un giovane giornalista torinese, amante ed esperto del ciclismo su strada. Solo 35 anni, ma già una grande esperienza e il suo curriculum parla chiaro: 10 Giri d’Italia, 2 Tour de France e due mondiali. Competenza delle sue ruote, che Mazzocco ha messo a disposizione anche della letteratura sportiva, con due pubblicazioni: nel 2002 Il gregario di Fausto e nel 2003 Almanacco del ciclismo piemontese.

Ora, è da poco uscito il suo terzo libro, Storiadel ciclismo – 150 anni di sfide dai pionieri ai giorni nostri. Un’opera ben diversa dalle precedenti, che mancava all’interno del vasto mondo della letteratura ciclistica. Sono infatti state scritte molte biografie di campioni, racconti di imprese epiche, ma mai un excursus storico della storia del ciclismo dai suoi albori ad oggi che fosse così completo, puntuale e competente. Si parla a 360 gradi degli avvenimenti che hanno segnato la storia di questo sport: i grandi personaggi, le gare più importanti, le evoluzioni tecniche della bicicletta, le innovazioni tattiche nell’affrontare le corse, l’impatto sociale di uno sport amato come pochi altri e gli immancabili risvolti negativi del doping. Un’analisi non chiusa al territorio italiano, ma che ha considerato il mondo del ciclismo su strada in un discorso globale.

Si parte della seconda metà dell’Ottocento, per poi percorrere le tappe fondamentali dell’evoluzione ciclistica, in tutti i suoi risvolti: tecnica, tattica, politica, economica, logistica e società. E si parla ovviamente degli uomini che con le loro imprese hanno scritto le pagine più emozionanti della storia di questo sport: da Breton, Girardengo, Bottecchia e Binda a Coppi, Bartali, Magni e Gaul. Da Poulidor e Merckx a Lemond e Fignon. Fino a Bugno, Pantani, Bettini e Contador.

Un’opera che, come spiega lo stesso Davide, nasce da due motivazioni: «Una di tipo personale e un’altra “esterna”. Il primo movente è la passione per il ciclismo che mi accompagna da oltre vent’anni e che una decina d’anni fa è diventata il mio lavoro. Scrivere questo libro è stato come tirare le somme di due lustri spesi al seguito del grande ciclismo come giornalista ma è anche stata l’opportunità per mettere sulla carta le storie più datate, nelle quali la mia passione per le due ruote ha trovato terreno fertile per germinare negli anni dell’adolescenza. La motivazione “esterna” è la mancanza di un’opera di sintesi storica nell’immensa pubblicistica riguardante il ciclismo su strada. Questo libro nasce dalla constatazione di come ogni anno escano nel nostro Paese monografie di corridori o di corse, romanzi e repertori statistici, ma non vi sia un’opera di sintesi in grado di spiegare come il ciclismo si sia sviluppato culturalmente, strategicamente, geograficamente ed economicamente».

Un libro che è stato pienamente vissuto da Davide Mazzocco. Un lavoro intenso che gli ha permesso di arricchirsi ulteriormente. L’autore infatti rivela che «Dalla stesura delle prime pagine alla correzione delle ultime bozze sono trascorsi circa tredici mesi. Se da una parte avevo ben chiaro dentro di me il percorso da seguire, dall’altra il lavoro di ricerca mi ha portato a scoprire cose nuove. Ha ragione chi dice che più cose si imparano e più ci si rende conto della propria ignoranza. Ecco, per me lavorare a questo libro è stato come studiare in maniera sistematica quella storia del ciclismo che ho masticato e digerito in maniera onnivora e disordinata per anni. Le maggiori difficoltà sono arrivate nella parte finale del libro. Avendo alle spalle un background giornalistico e, dunque, una ben precisa forma mentis, ci tenevo che il libro fosse il più aggiornato possibile. Volevo che la mia Storia del ciclismo illustrasse ciò che è avvenuto negli ultimi anni, le immense trasformazioni che hanno rivoluzionato questo sport. Il libro finisce con la vittoria di Vincenzo Nibali alla Vuelta e si chiude con un punto interrogativo sull’ultimo Tour de France. Ecco, la maggiore difficoltà è stata quella di rincorrere l’attualità».

Un’opera che porta a scoprire i mille cambiamenti che il ciclismo ha attraversato nel corso dei decenni. Il giornalista afferma: «Ciò che mi impressiona maggiormente è il livellamento nelle grandi corse a tappe. Il livellamento al quale abbiamo assistito negli ultimi dieci anni ha penalizzato lo spettacolo. Se è vero che le ultime edizioni del Tour e della Vuelta si sono risolte solamente a 24 ore dal termine, è altrettanto vero che non assistiamo a un attacco da lontano (di un uomo di classifica chiaramente) da almeno dieci anni. I grandi giri, ormai, hanno tutti lo stesso canovaccio: si cerca di perdere il meno possibile nelle cronometro e nelle tappe di montagna si fa selezione sull’ultima salita. Alzi la mano chi si ricorda un attacco sul penultimo colle di un tappone alpino o pirenaico. Di solito chi si lancia in imprese del genere ha a che fare con la giustizia sportiva un mese dopo».

E se gli chiedi quale periodo avrebbe voluto raccontare vivendolo di persona, lui risponde: «Senza dubbio avrei voluto essere un suiveur al seguito delle prime edizioni del Tour de France, quelle di Garin e di Petit Breton, di Pottier e Christophe. Oppure essere in gruppo nelle Grande Boucle del ’48 e del ’49 vinte da Bartali e Coppi con due clamorose rimonte. Quanto all’epoca più recente, beato chi ha avuto la fortuna di essere in gruppo nelle giornate di grazia di Bernard Hinault o nel Tour de France vinto da Greg Lemond con 8” su Laurent Fignon».

Ma bisogna, per forza, affrontare anche l’argomento doping. Secondo Mazzocco « È difficile dire, oggi, se il ciclismo sia arrivato o no al punto di non ritorno, certo è che i numerosi scandali degli ultimi anni, uniti a una contingenza terribilmente sfavorevole, hanno contratto in maniera molto sensibile gli investimenti degli sponsor. In Italia, Francia e Spagna la perdita di credibilità si è riverberata sul sistema-ciclismo in tutte le sue componenti: sono spariti sponsor, squadre e corse che esistevano da decenni. La credibilità potrebbe venire da un oculato utilizzo del passaporto biologico ma anche questo sistema sembra avere dei margini di errore. Ciò che temo maggiormente è il dilagare del doping genetico. Quello sarebbe davvero il punto di non ritorno».

E infine, uno sguardo al momento attuale del ciclismo, soprattutto in Italia: «È un ciclismo meno divertente, meno rocambolesco, più scientifico. I corridori programmano due picchi di forma all’anno e poi fanno “melina”. Però va detto che ci sono performance straordinarie. Penso, per esempio, a un atleta del calibro di Cancellara. Ha vinto la Parigi-Roubaix e il Giro delle Fiandre con una tale esibizione di potenza da far dire ai suoi detrattori che c’era un motorino nel suo telaio. Peccato che nell’ultima cronometro del Tour de France abbia rifilato 5’43” a Contador che si stava giocando la maglia gialla… Nelle classiche ci si diverte ancora, prima ci pensava Bettini, ora c’è Gilbert. Quanto all’Italia c’è un problema dirigenziale. Il ciclismo è lo specchio del Paese: i “cervelli” fuggono all’estero. Il miglior direttore sportivo – Roberto Damiani – ha guidato un’ammiraglia belga nelle ultime stagioni e finalmente adesso qualcuno in Italia si è accorto del suo talento, tanto che il prossimo anno dovrà ricostruire Cunego. E il miglior giovane? Fabio Felline ha dovuto passare professionista con una squadra ibero-svizzera. Magari sarà lui a farci divertire nelle prossime stagioni».

Storia del ciclismo, edito da Bradipolibri, 280 pagine per 18 euro, è una lettura che non si può non consigliare a tutti quelli che amano il ciclismo, che lo seguono e che lo praticano. In libro per arricchire la nostra cultura sportiva, storica e sociale.

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