Giro delle Fiandre: un arcobaleno sul Belgio
Di GIANCARLO COSTA ,
Il vecchio Kwaremont aspetta “La Ronde”. Il Fiandre passa di lì sin dagli anni venti. Sono più di due chilometri di salita sconnessa, la pendenza inizia lieve, sembra quasi levigata dal tempo, poi la punta all’11% e l’interminabile falsopiano che da sempre ammazza le gambe.
Ed è lì che ci sono le Fiandre, il Belgio, i fiamminghi ed anche i valloni, in questo giorno di festa nazionale che ha richiamato migliaia di persone. Gradinate, tensostrutture, palatenda, maxischermi, punti di ristoro, c’è tutto…nonostante tutto.
Il Belgio è stato ferito da cose più grandi ed incomprensibili di una gara ciclistica, ed il suo sport nazionale ha perso per sempre due ragazzi, una “morte bianca” in corsa ed un malore improvviso gli hanno strappati alla vita, nell’esercizio del loro mestiere, alla rincorsa di un sogno.
Davanti nella fuga, fatta di sei bandiere differenti, c’è anche Zurlo il blufuxia della Lampre. Il gruppo li segue a quattro minuti scarsi. I chilometri alla fine sono ancora 150, questi non saranno scarsi, ma ricchi di emozioni.
La giornata soleggiata, e solo un accenno di leggerissimo vento trasversale a ricordarci dove siamo, fanno lievitare la media sin dall’inizio, a testimoniarlo il parecchio tribolare della fuga a prendere il largo.
Le strade si allargano e si stringono a seconda se si sta per entrare o uscire dai muri, anticipati spesso da una curva secca a destra o a sinistra che fa da ingresso alla secca impennata.
Più o meno a metà corsa il primo ruzzolone nel plotone, e nelle sue posizioni di avanguardia. Ha la peggio Demare. Striscia a terra, maglia a brandelli, nulla di rotto, ma radio corsa gracchia “abbandon”.
Si susseguono i muri: Kortekeer in asfalto; ai suoi piedi si incarta Sep Vanmarke e la catapulta gli danneggia il manubrio, dovendo sostituire il mezzo riesce, grazie a tre compagni ed a qualche compiacente scia a rientrare in breve tempo.
Sul Eikenberg l’andatura scorre veloce e senza scatti. A raffica seguono il Wolvenberg ed il breve e dritto Meleberg, questi in asfalto, una volta tanto.
In pianura il gruppo fila veloce anche sui tratti in pavè, tra il primo e l’ultimo del plotone ci saranno almeno 200 metri, in testa si alternano gli uomini dei grossi calibri. Regolari davanti, spediti dietro, il distacco dei battistrada scende in modo progressivamente regolare.
Molenberg: fuga sui due minuti, dietro forcing di Tony Martin e frattura nel gruppo; davanti una trentina di unità con tutti i migliori, ed il cuore ha un sussulto quando il trattorino della Val di Non, Gianni Moscon, balza in testa e forza l’andatura.
A 100 chilometri dall’arrivo la BMC fa filotto. Nel risalire il gruppo sulla sinistra finiscono tutti a terra. Ha la peggio Greg Van Avermaet che dovrà ritirarsi con una clavicola rotta. Sfortunata nelle classiche la squadra americana, che ha dovuto rinunciare a suo tempo a Phil Gilbert.
Sul Leberg parte il velocista da tappe Greipel, per un po’ si volta in attesa di compagnia che gli arriva con Police, altro passistone crucco.
Immediatamente dopo sul Berendries scatta la bandiera belga di Van Heske, così sono tre le coppie nel giro di un minuto. Il gruppo prima del Valkenberg sorveglia questo innocuo “Baracchi” sulle strade della “Ronde” a poco meno di 100 secondi.
Prima fuga a 70 dal traguardo ed a 20 dal secondo passaggio sul vecchio Kwaremon, mentre il “grosso”, tra cadute e frustate, si è pressoché dimezzato.
La velocità altissima del gruppo e la serie infinita di pullman indicano il nuovo approssimarsi al “grande vecchio”.
Il belga Dimitri Claises della Wanty affronta quasi doverosamente in testa il secondo passaggio tra il boato della folla che rivede in lui anche chi, solo una settimana fa, ha tragicamente smesso di sognare in una tragica caduta. Dal gruppo sguscia Vandenbergh, ha il nome da muro fiammingo e la stazza di chi per due volte li ha domati i muri, lo spilungone pel di carota Van Hoydonck.
L’impressionate sequenza dei muri prosegue inesorabilmente. Nuovamente Patemberg e, come giro di boa del circuito il Koppenberg. Altro tuffo al cuore quando la bandiera tricolore di Francesco Moser vi transitò per primo su quel muro, trent’anni fa. L’odiato Koppenberg, l’unico in carriera a far mettere piede a terra al “cannibale” Eddy Merkx; sempre nel giorno del tricolore in vetta.
Ai bordi del muro penzolano, come liane di Tarzan le bandiere giallonere delle Fiandre e accompagnano il compagno di Antoine in vetta per primo, o per primi. Sep Vanmarcke passa in testa al gruppo, lo seguono snocciolati Sagan, Cancellara, Boonen e Kwiatkowski; ognuno di loro scortato poco dietro dal rispettivo luogotenente di fiducia.
E’ a 32 km da Oudennarde che Sagan ordina ad Oscar Gatto di spanargli la strada. Parte Kwiatkowski e Peter gli salta a ruota ed insieme raggiungono il gruppetto di Sep Vanmarcke. Dietro si compie l’ennesimo paciugo della Quiek Step. Non sanno ancora chi eleggere capitano. Lo fanno solo quando i buoi sono scappati, così né Boonen né Tepstra potranno più rientrare.
Tentenna anche Cancellara. Pensa, sbagliando, che Sagan si sia mosso in anticipo, sprecando così energie preziose per il finale di corsa.
Ma il campione del mondo collabora solo a “vuoto effettuato”, dilatando i secondi di vantaggio già prima del Kruisberg.
I sette davanti si sfaldano al sopraggiungere di Sagan, Kwiatkowski e Vanmarcke. Ciò che resta del “grosso” cerca di reagire trascinato dal “doppiettista” della Ronde Stein Devolder, oggi al servizio di Cancellara.
Nell’ultimo Kwaremont si assiste all’ultima recita della “locomotiva” di Berna. La sontuosa, anche se tardiva, progressione è un capolavoro senza fine, da tramandare per parecchie delle Ronde che seguiranno negli anni.
Il solo Vanmarcke riesce a restare con Sagan, dando lui manforte con le poche forze rimaste.
Davanti due; dietro quattro.
Sul Paterberg, l’ultimo dei 13 muri, Sagan parte con una progressione disarmante. I metri si dilatano 10, 20, 50, 100, 150 ed è la resa per il fiammingo; ed è la legge del tempo per lo svizzero.
Ed è un arcobaleno primo ad Oudenarde. Un arcobaleno quasi a rasserenare il Belgio. Vanmarcke lascia il posto d’onore a Cancellara.
Lo sguardo della “locomotiva” è triste per la mancata vittoria, ma il competente pubblico belga gli tributa il giusto omaggio. L’omaggio ad un attore protagonista anche nell’ultima recita.
Grazie “Spartakus” per aver creduto ed inseguito il tuo sogno fino all’ultima pedalata. Buona vita superbo campione, ci mancherai.
Di Mauro Percudani